I delitti di uccisione e maltrattamento di animali
Un articolo di pochi giorni fa in un quotidiano locale titolava: "Spara al gatto, poi lo finisce con un mattone: patteggia in tribunale". Si tratta di un pensionato di 84 anni che ha patteggiato quattro mesi di reclusione per aver ucciso un randagio che rovinava il suo orto.
Ma cosa prevede il codice penale per i delitti contro gli animali?
Con la legge n. 189/2004 è stato introdotto nel Codice Penale il Titolo IX bis -Delitti contro il sentimento per gli animali- il quale modifica ed inasprisce la disciplina previgente riguardante, in generale, il maltrattamento verso gli animali. Gli articoli 544 bis e seguenti del codice penale inquadrano come veri e propri delitti i reati di uccisione, maltrattamento, spettacoli non autorizzati e combattimenti tra animali. Dato comune a tutte le fattispecie incriminatrici è il concetto di animale, elemento costitutivo che individua, in via mediata, il soggetto passivo della norma nonché l'elemento materiale su cui ricade l'attività fisica dell'agente.
Quale è dunque la portata del concetto di animale alla luce della normativa?
La legge 189 del 2004 dimostra la necessità di adeguare il codice alla mutata sensibilità sociale del fenomeno animale, e può così ritenersi superata la restrittiva interpretazione del concetto di animale, annoverando ogni essere vivente appartenente al genere animale, senza esclusione alcuna tra animali d'affezione ed animali che non lo siano, tra vertebrati ed invertebrati. Il testo, come dimostrato dalla giurisprudenza, considera gli animali in sé: non vi sono differenze fra animali d'affezione, domestici o selvatici e così se qualcuno uccide per divertimento anche solo una lumaca, compie un reato e può essere punito. Ovviamente l'animale in questione deve essere vivo, trattandosi un implicito presupposto dell'azione o del fatto la cui preesistenza è fondamentale perché assuma carattere criminoso la fattispecie.
È punito con la reclusione da quattro mesi a due anni per il reato di uccisione di animali ai sensi dell'art. 544 bis c.p. "chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale".
Il reato di uccisione di animali è un reato a forma libera, incentrato sull'azione di cagionare, intesa come qualunque azione causalmente collegata all'evento morte. Importante dunque l'ampia prospettiva del verbo cagionare che porta alla penale rilevanza di molteplici azioni o omissioni potendo tale condotta essere costituita sia da un'azione sia da un'omissione. L'evento morte è il momento consumativo di tale delitto: è dunque configurabile il tentativo, sia nella forma del tentativo compiuto che incompiuto, ovviamente sarà rilevante ai fini dell'idoneità dell'art 56 c.p. l'accertamento sull'idoneità dell'azione posta in essere dall'agente.
Non rientra nell'ipotesi di reato l'uccisione di un animale ad opera di un altro animale sfuggito al custode, trattandosi di evento colposo, che può generare solo una forma di responsabilità civile (art. 2052 del Codice Civile), ma ciò non toglie che potrà accertarsi caso per caso se eventualmente l'animale è stato utilizzato appositamente come arma contro l'altro animale, al fine di uccidere. Per quanto riguarda l'elemento soggettivo si ha dolo generico consistente nella volontà d'uccidere, non essendo necessaria la volontà di cagionare l'evento morte ma è sufficiente la previsione che l'azione o omissione comporti la possibilità del ravvisarsi di tale evento in qualità di dolo seppure anche solo eventuale (inteso quale mera accettazione del rischio di verificazione dell'evento). Esula invece, dall'ambito di applicazione della norma, l'uccisione e/o il maltrattamento meramente colposo, tuttavia, l'ammissibilità del dolo eventuale, assai vicino all'atto pratico alla "colpa cosciente", potrebbe consentire la punibilità anche di comportamenti limite, qualora di oggettiva gravità.
Per la sussistenza del reato di uccisione di animali sono necessari due requisiti di illiceità speciale, la crudeltà e la mancanza di necessità.
Commette invece il reato di cui all'art. 544 ter c.p. (Maltrattamento di animali) "chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale".
L'articolo 544 ter c.p. che punisce chiunque, per crudeltà o senza necessità, maltratta un animale, con condotta attiva o omissiva, è una norma penale mista, contenendo diverse previsioni, consistenti alternativamente al primo comma nel cagionare una lesione ad un animale o nel sottoporlo a sevizie, fatiche, o comportamenti insopportabili per le sue caratteristiche etologiche, mentre al secondo comma sono previste la condotta di somministrazione di stupefacenti, e la sottoposizione dell'animale a trattamenti che creano un danno alla sua salute, reato di danno in cui va provato il verificarsi del danno attraverso accertamenti tecnici scientifici, in questi ultimi casi si prescinde dai requisiti di illiceità speciale, necessari invece per le prime due condotte.
Per il perfezionarsi del reato è sufficiente un'unica condotta.
La prima fattispecie considerata consiste nel cagionare una lesione, sulla falsariga del reato di cui all'art 582 c.p. —lesione personale—, dunque è importante individuare la portata del termine lesione.
È ormai consolidato che il concetto di lesione utilizzato dal legislatore possa essere individuato attraverso gli stessi criteri che qualificano le lesione in altre disposizioni del codice penale, come ogni apprezzabile diminuzione dell'integrità psicofisica dell'animale. Nella sentenza del Tribunale penale di Torino in composizione collegiale del 25 ottobre 2006 i giudici confermano che le lesioni, di cui si parla nell'articolo indicato, non sono necessariamente fisiche (comunque presenti negli animali sequestrati e poi confiscati) bastando la mera sofferenza dell'animale in quanto la norma mira a tutelare gli animali quali esseri viventi in grado di percepire dolore.
In merito alla condotta di sottoposizione a sevizie o a fatiche o a comportamenti insopportabili per le caratteristiche etologiche rifluite dall'art 727 c.p., la sevizia si contraddistingue per la brutalità dell'azione.
Il secondo comma dell'articolo in esame prevede poi per la prima volta il reato di 'doping' a danno di animali, reato di pericolo essendo ritenuta la condotta pericolosa di per sé, e per cui si prescinde dal concetto di necessità o di crudeltà, orientato a reprimere le competizioni con animali legati alla zoomafia ed alle scommesse clandestine, i primi effetti di queste disposizioni si sono avuti in casi di detenzione illecita di uccelli dopati per esaltarne le doti canore.
Per quanto riguarda l'elemento soggettivo dell'art 544 ter nelle sue varie disposizioni, sono escluse le forme colpose di negligenza, imprudenza e imperizia, ma è ammesso il dolo generico. Al di là della crudeltà (dolo specifico), analogamente al reato di uccisione di animali, il secondo requisito soggettivo è alternativo, ovvero la mancanza di necessità, che non è ad esso assimilabile, in quanto il suo dato normativo è la coscienza e volontà delle azioni (dolo generico) in assenza di giustificati motivi, e perciò nelle condotte omissive è sufficiente la coscienza che le omissioni causano gravi sofferenze agli animali, e l' accettazione di esse.
Il terzo comma dell'art. 544 ter prevede una circostanza aggravante a effetto speciale, che porta ad un aumento fisso della metà della pena, che si concreta nell'ipotesi in cui dalle condotte di cui al I comma derivi la morte dell'animale. Tale aggravante sussiste solo se la morte dell'animale è conseguenza non voluta del maltrattamento, e della quale l'agente neppure ha accettato il rischio, in caso contrario, evidentemente, si configurerebbe il reato più grave di uccisione di animali ex art 544 bis.
In tema di maltrattamento di animali vale la pena segnalare una rilevante pronuncia della Cassazione Penale in materia di utilizzo di collari antiabbaio elettrici, terreno assai controverso, statuendo un chiaro e significativo principio in materia di tutela di animali, ovvero che il collare antiabbaio elettrico provoca inutili sofferenze ai cani, e dunque costituisce reato ed a tal fine è legittimo il sequestro in via preventiva di tali strumenti per evitare il protrarsi di tale inutile e dunque illegittima sofferenza, ed ancora, non è scriminabile la sofferenza dell'animale quando si tratti soltanto della convenienza ed opportunità di reprimere comportamenti eventualmente molesti dell'animale che possano trovare adeguata correzione in trattamenti educativi etologicamente informati e quindi privi di ogni forma di violenza o accanimento.
La ratio del Legislatore è la tutela di qualsiasi animale (domestico, da allevamento, selvatico o addomesticato) contro atti di crudeltà o non necessari che ne provochino sofferenza, lesioni o addirittura la morte.
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