Donna di servizio non in regola e pagata ad ore: quali rischi si corrono?

03.10.2017

Non di rado accade che ci sia il bisogno di una signora che ci aiuti nelle faccende domestiche, ma non sempre c'è la possibilità di assumerla. Accade così che si decide di trovarne una che accetti di essere "pagata a ore" senza cioè alcun contratto di lavoro.

In queste occasioni spesso ci si affida al passaparola tra amiche e vicine di casa: una cara amica consiglia la signora che nella sua abitazione si reca da ormai cinque anni tre volte a settimana, una donna molto fidata e precisa che viene retribuita "a nero". Così, dopo un primo periodo di prova, si decide di instaurare con lei un rapporto fisso ma senza regolare contratto di lavoro: ci si accorda per una paga a ore.

Ma quali sono i rischi che si corrono con tale scelta?

E' proprio di qualche giorno fa un'ordinanza della Cassazione (Cass. ord. n. 21862/17 del 20.09.2017) che fa il punto della situazione e spiega quali sono le conseguenze di una domestica pagata a ore e non messa in regola.

La donna di servizio non regolarizzata può, in qualsiasi momento del rapporto di lavoro e fino a 5 anni dopo la fine, fare causa al "datore di lavoro" per ottenere il pagamento di tutte le retribuzioni, le ferie e le indennità non corrisposte o che non possono essere dimostrate. Vien da sé che, qualora il pagamento della donna delle pulizie sia sempre avvenuto in contanti, non essendovi traccia di questi mancherà la prova dell'adempimento da parte del datore e questi potrebbe essere condannato a versare una seconda volta tutte le retribuzioni dovute dall'inizio del rapporto di lavoro sino alla chiusura.

Ma come può però la domestica non regolarizzata dimostrare il proprio rapporto di lavoro?

In tal caso sarebbero sufficienti le testimonianze delle colleghe dello stesso palazzo con cui ha avuto rapporti o dei familiari che l'hanno accompagnata più volte sul posto di lavoro e, al termine, sono andati a prenderla. In poche parole, la prova testimoniale può supplire all'assenza di un documento scritto che certifichi l'esistenza di un rapporto. Nel caso deciso dalla Corte, la richiesta della domestica è stata rigettata proprio per difetto di prove, ma nulla toglie che le stesse possano essere raggiunte con una maggiore attenzione.

Per concludere, anche in assenza di un "documento scritto" che attesti l'esistenza di un rapporto continuativo di subordinazione, la donna delle pulizie può ugualmente far valere i propri diritti. Il datore dovrebbe farsi sempre firmare delle ricevute, sebbene queste non lo salveranno dalle sanzioni per il lavoro in nero, dal pagamento dei contributi e delle eventuali ferie non corrisposte.

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